LIVORNO. C’è una tartaruga in bronzo ispirata al Giardino di Bomarzo e due uccellini di legno provenienti da un viaggio in Cecoslovacchia. Il limone di ceramica è opera di un artista famoso negli anni Settanta e un’asticella in bronzo proviene da scarti di fonderia. Sono memorie di un processo creativo lungo quasi vent’anni: il percorso artistico di Michelangelo Consani, livornese classe 1971, che ha deciso di svelarlo nella sua prima personale in città. La mostra “Angeli, limoni, pappagalli e tartarughe”, curata da Paolo Emilio Antonioli – alla Galerie 21 (via Roma, 94/a) da oggi – è il racconto intimo di un artista anticonformista, che si è sempre tenuto alla larga dall’estetica dominante.
Per circa quindici anni Consani ha lavorato sulle tematiche ambientali, sulla decrescita – la sua personale a La Spezia nel 2011 fu accompagnata da un contributo di Serge Latouche – sottolineando l’urgenza di cambiare rotta contro lo sperpero di risorse energetiche. Dalla creazione di un prototipo di cucina solare all’elogio dell’energia pulita delle due ruote ( “Dynamo”, Premio Toscana Contemporanea 2010), fino al video sul relitto dell’Amoco Milford Haven, la nave affondata nel golfo di Genova causando un disastro ambientale, l’artista livornese ha portato il suo messaggio ecologico in vari Paesi. Ha sempre dedicato attenzione alle figure marginali della storia, che sono stati pionieri e ideatori di scoperte sull’ambiente.
Da alcuni anni questa poetica ha lasciato il posto ad una necessità del fare nel presente. Nella scultura ha trovato un’espressione compiuta, elaborando oggetti e installazioni che nella mostra livornese rivelano una stratificazione temporale fatta di ricerche e incontri. Il primo è con Emilio Prini, protagonista dell’Arte Povera scomparso nel 2016, di cui Consani è stato assistente, che omaggia con un collage di colori che rimandano ognuno ad un personaggio minore della grande storia. Da questa composizione originaria si dipana un percorso tra gli spazi della galleria, collegati da tensioni ideali e fisiche tra le opere.
Domina l’assemblaggio di forme e materiali, la stratificazione di pezzi come sedimenti di un percorso. Ecco un’agave intagliata da uno scultore del Novecento, un pappagallo in ceramica, restaurato in oro con l’arte del kintsugi, con un limone sul capo. Da una zucca escono frammenti di “voci dal mondo”, sonorità varie, brani musicali, spezzoni di film e canzoni. Nel piano interrato c’è la scultura-autoritratto dell’artista, un’opera visibile solo al lume di candela. Al piano alto, come in un processo di elevazione, si incontra una creatura di pura luce, visibile all’uomo solo creando un’ombra, quasi intagliando un chiaroscuro.
La mostra è aperta fino al 25 gennaio, da lunedì a sabato ore 17-20. —
Federica Lessi