PISA. “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda il battaglion! ”. Chi non si ricorda questa filastrocca? E come nacque, radicandosi poi nelle nostre menti, tramandata di generazione in generazione?
Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei due Mondi, nasceva a Nizza il 4 luglio del 1807. Incasellare la sua vita in questo poco spazio è impossibile. Generale, scrittore, massone, eroe, prigioniero. Cambiò per sempre i destini d’Italia, in un’estate calda e destinata a restare impressa sui libri e nel cuore degli italiani. La storia, dovreste conoscerla. La Sicilia era in rivolta. Garibaldi alla testa dei 1000 salpò da Quarto, in Liguria, il 5 maggio del 1860. Sbarcato a Marsala, avviò una campagna di guerra contro Ferdinando II. In un’epoca storica dove follia e coraggio andavano per mano, Alexandre Dumas amico di Garibaldi, lo raggiunse col suo yacht e si mise a disposizione del generale. I Mille attraversarono tutta la Sicilia, fra il giugno e il luglio. Tra loro i pisani Marabotti, Mortedo e Romani, il sarto. Celebri molte battaglie, fra tutte quella di Calatafimi, quando rivolgendosi a Bixio pronunciò la storica frase: «Nino, qui si fa l’Italia o si muore!».
Il contributo di Dumas, che scrisse inizialmente le cronache e poi i romanzi dedicati all’impresa, fu fondamentale per radicare nelle menti le gesta delle camicie rosse. Verità vere e addomesticate. Leggende appunto. Pochi sanno che l’impresa dei Mille fu di fatto l’impresa dei 21.000. Dopo lo sbarco del generale, si susseguirono da Genova e da Livorno, le partenze dei volontari. Giovani di tutta Italia mossi dal patriottismo, ma anche da fame e bisogno. Al di là delle inesattezze storiche che abbiamo studiato, della magnificenza che Dumas e altri costruirono intorno all’impresa, Garibaldi nel torrido luglio del 1860 riuscì a liberare la Sicilia dall’oppressore e il 22 agosto sbarcò in Calabria. Era tanta la fama del generale che in Sila Piccola a Soveria Mannelli (paese di mio padre), il generale borbonico Ghio si arrese consegnando 10.000 fanti senza sparare un colpo. L’avanzata di Garibaldi fu trionfale e il 7 settembre prese Napoli. Il suo progetto era arrivare a Roma e spodestare il papa, unendo l’Italia. Ma, a Teano cedette tutto il sud a Vittorio Emanuele. «Obbedisco», gli disse. L’anno successivo si compì l’Unità d’Italia al netto di Roma che dovrà aspettare il 1870 e i bersaglieri a Porta Pia.
Garibaldi da eroe, personaggio ingombrante che non aveva accettato l’idea di lasciare in vita lo Stato della Chiesa, fu trasformato in nemico del regno dileggiato, confinato. Nel 1862 Garibaldi radunò i reduci dell’impresa e sbarcò nuovamente in Sicilia e poi in Calabria. L’idea era di ripercorrere simbolicamente il cammino vittorioso di due anni prima e di entrare a Roma. Ma ad attenderlo, questa volta c’era l’esercito d’Italia che ingaggiò uno scontro a fuoco. Garibaldi fu ferito ad una gamba, no anzi a due. Una palla entrò nell’anca destra e una nel malleolo sinistro. Garibaldi fu arrestato e tradotto a Spezia nella fortezza del Varignano. Il proiettile all’anca non aveva leso tessuti importanti e non fece danno ma quello al piede sinistro si era conficcato nelle ossa. Si rese allora necessaria una delicata operazione il generale fu trasportato a Pisa. Sbarcò agli scali del carbone l’8 novembre del 1862 e trovò alloggio all’albergo delle Tre Donzelle. Garibaldi fu operato da Ferdinando Zannetti che, oltre ad essere un rinomato medico, aveva partecipato volontario nelle file pisane alla battaglia di Curtatone e Montanara nel 1848.
Il generale migliorò e (non dimentichiamo che era un prigioniero) qualche notte dopo fu condotto via Navicelli a Livorno. Cosa rimase di tutto questo a Pisa? La storiella che non pagò il conto! Di tutta quell’impresa, la nostra piccinaggine riporta la storia di un presunto debito. Come prigioniero di guerra non aveva con sé soldi. E comunque il conto fu pagato dallo stato. Garibaldi, un tirchio. Eppure, ci fu chi ci parlò con lui, di politica, di strategie, di rivoluzione. Vennero a trovarlo da tutta Europa, ma noi ricordiamo solo che lasciò il chiodo. Quanta miseria, la nostra, in questa storia. Garibaldi a Pisa, dicerie, ignoranza e sufficienza. E, si sappia, non siamo cambiati. Viva Garibaldi, sempre. –