PRATO. Quando ha capito che sarebbe finito in carcere, Mirko Bellucci è scoppiato in lacrime e hanno dovuto calmarlo gli stessi finanzieri che lo avrebbero portato alla Dogaia. Il presunto promotore dell’associazione a delinquere scoperta dalla guardia di finanza e accusato di aver evaso l’Iva per 40 milioni grazie a 200 milioni di false fatture ha passato la sua prima notte nella casa circondariale e domani, 15 novembre, difeso da Patrizio Fioravanti, dovrebbe comparire davanti al gip per l’interrogatorio di garanzia. Martedì mattina forse non aveva capito che lui solo sarebbe finito in galera e ci è rimasto male. Il giorno prima era pronto a partire per la Slovenia per affari ed è stato trattenuto dalla Finanza con uno stratagemma. Ora dovrà decidere se rispondere al giudice oppure aspettare di vedere meglio gli atti.
Atti che lo descrivono come l’assoluto dominus del vorticoso giro di merci e fatture. La sua famiglia (ai domiciliari è finito il padre Mario) ha fatto le sue fortune nell’immobiliare a Vaiano, ma poi ha scontato la crisi del settore e Mirko si è improvvisato imprenditore, apparentemente con grandi risultati.
L’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Laura Canovai ipotizza però che i risultati siano arrivati soprattutto grazie alle frodi. E che le frodi sarebbero continuate se il gruppo non fosse stato fermato. Il gip Scarlatti cita nell’ordinanza di custodia alcune intercettazioni del giugno 2018 dalle quali si capisce che Bellucci ha avuto contatti con un non meglio specificato giapponese e sta tentando di mettere in piedi un lucroso commercio di vini francesi. O meglio, secondo gli investigatori voleva applicare ai vini lo stesso modello applicato al commercio di polimeri di plastica: cioè l’interposizione di società “cartiere” e società “filtro” per evadere l’Iva o per creare crediti Iva che in realtà non gli sarebbero spettati. Di questo progetto Bellucci parla un suo consulente sloveno e gli chiede di trovare subito una società che abbia una partita Iva comunitaria: «Non me ne frega quanto la mi costa, me ne serve un’altra». Poi contatta la sua collaboratrice pistoiese Cristina Beneforti e le parla del progetto. Secondo la guardia di finanza quei vini pregiati non sarebbero mai partiti dalla Francia ma sarebbero serviti solo a produrre fatture per una delle tante “frodi carosello” che vengono imputate al gruppo di Bellucci.Un tesoretto in contanti nello studio. Nel corso delle perquisizioni nei confronti dei professionisti indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta frode fiscale, i finanzieri del Comando di Prato hanno avuto una sorpresa. Nello studio della commercialista Silvia Birindelli, a Montecatini, i militari hanno trovato 60.000 euro in contanti. Il denaro però non è stato sequestrato perché il giudice per le indagini preliminari Francesca Scarlatti ha autorizzato il sequestro preventivo di beni solo nei confronti dei 17 soggetti a cui sono state applicate le misure cautelari della custodia in carcere o degli arresti domiciliari. Ed eventualmente nei confronti delle società che a questi soggetti fanno capo. Non dunque a tutti gli altri 22 indagati, tra cui figura anche la commercialista di Montecatini.
La ragioniera: "Non potevo sapere". «Come facevo a sapere se c’era qualcosa di illecito se i documenti che mi venivano presentati erano apparentemente in regola? ». Se lo chiede la ragioniera Ester Pazzaglia, che figura tra gli indagati (insieme a Stefano e Angelo Barni, Michele Galimberti, Silvia Birindelli ed Enrico Cennicola) in qualità di consulente fiscale e amministrativo degli arrestati. «Dopo gli accertamenti della Finanza del luglio di quest’anno – spiega Pazzaglia – in agosto ha mandato la disdetta e ho reso la contabilità delle società che mi erano state affidate perché ho visto che c’era qualcosa che non tornava. Ho consigliato di fare istanza di fallimento in proprio». La professionista curava la contabilità di alcune aziende del gruppo da un anno e mezzo.