PRATO. La casa dove nacque, i ritrovi dell’infanzia e della giovinezza, i posti frequentati fino a quello diventato un luogo simbolo come la collina di Spazzavento dove ha voluto che il suo corpo fosse tumulato. Il Tirreno porta, quest’oggi, i suoi lettori in un viaggio nel territorio pratese alla scoperta dei luoghi cari a Curzio Malaparte. E lo fa con una guida d’eccezione: il giornalista e scrittore Umberto Cecchi. Che, prima di tutto, ricorda Malaparte come uno dei più grandi scrittori del Novecento. «E con lui – afferma Cecchi - anche Oriana Fallaci, che è stata una strana allieva malapartiana».
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Via Magnolfi. Poi, Umberto Cecchi inizia a guidarci fra le strade e i luoghi di Prato cari all’Arcitaliano. «Malaparte – racconta il giornalista e scrittore - era nato in via Magnolfi, nella casa dove ora, sulla facciata esterna, c’è una lapide che lo ricorda. Era attaccato alla sua città e lo si evince anche dai suoi scritti: ‘Io son di Prato, m’accontento di essere di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non essere venuto al mondo’. Prato la conosceva molto bene. Ne “Le avventure di un capitano di sventura”, lo scrittore ambienta le scene fra le osterie, Cafaggio e i dintorni. Bellissimo quando racconta la ballata dei cenciacioli e deliziosi sono i soprannomi con i quali li ricorda come il Mettimale».
Gli etruschi. «C’è un altro sito particolare assai caro a Malaparte - prosegue Umberto Cecchi – Si tratta di una galleria scavata nella montagna tra Figline e il Monte Ferrato. Qui, secondo lo scrittore, c’è l’entrata dell’inferno degli Etruschi. E’ uno dei punti fermi di riferimento con la città, il passaggio tra il tutto e il nulla. Non dimentichiamoci – aggiunge l’ex direttore della Nazione – che dei reperti etruschi sono stati ritrovati a Prato, nell’area di Gonfienti. E sempre legato a questo popolo, c’è un altro luogo al quale Curzio Malaparte era affezionato. Si trova vicino al chiesino di Cavagliano, dove ci sono dei grandi massi e degli antichi cipressi. Era qui che gli etruschi si ritrovavano in preghiera ed era qui che lo scrittore andava a parlare con loro».
Piazza Duomo. L’autore di “Maledetti toscani” racconta con dovizie di particolari la vista dalla sua camera dell’albergo “Stella d’Italia” in piazza Duomo. Malaparte quando tornava a Prato da Roma, città dove era andato a vivere, chiedeva sempre la stessa stanza. Doveva avere l’affaccio sulla centralissima piazza Duomo (“M'affaccio alla finestra e, sporgendomi un po' di lato, m'appare la fronte marmorea del Duomo, a strisce bianche e verdi, il pergamo di Michelozzo e Donatello, appeso come un nido all'angolo della facciata”). «Inoltre – aggiunge – Umberto Cecchi – parlava di via Magnolfi dove era nato e della collina di Spazzavento dove aveva il desiderio di essere sepolto».
Il Bacchino. Si chiamava così, un tempo, il bar in piazza del Comune. Quello che oggi è “I Frari delle Logge”. Era quello il punto di riferimento per i pratesi ed era frequentato pure da Malaparte. «Vi andavano giovani e meno giovani – racconta Cecchi – e soprattutto quest’ultimi stavano al Bacchino a tirar mattina. Un locale non molto fortunato, dato che gli avventori si fermavano per consumare e poi se ne andavano senza pagare».
Via Bologna. C’è anche questa strada nella giovinezza di Malaparte, la via del Fabbricone dove lavora il padre di Kurt Suckert. Ed è in via Bologna che il futuro scrittore iniziò a raccontare le storie ai compagni che lo ascoltavano attenti. Due dei suoi amici erano Alighiero Ceri (che diventerà professore) e Armando Meoni. La comitiva era solita giocare anche nella zona dei Cappuccini.
Spazzavento. E’ l’ultimo capitolo della vita di Curzio Malaparte, quello che lo stesso scrittore vuole chiudere in grande stile. Aveva espresso la sua volontà di essere sepolto su quella collina: “E vorrei avere la tomba lassù, in vetta allo Spazzavento per poter sollevare il capo ogni tanto e sputare nella fredda gora del Tramontano”.
«Lo scrittore – ricorda Umberto Cecchi – morì a Roma il 19 luglio 1957. I funerali si tennero a Prato e poi il suo corpo venne sepolto nella cappella della famiglia Nocchi al cimitero della Misericordia in attesa della costruzione del mausoleo che sarà pronto qualche anno dopo. Ecco che una volta realizzata la tomba avvenne la traslazione della salma e penso che quello sia stato il momento più commovente sulla vita di Curzio Malaparte. Una moltitudine di persone accorse per l’evento e visto che realizzare l’opera sullo Spazzavento fu un’impresa, così come anche far arrivare la bara lassù, c’è chi disse che Malaparte lo aveva fatto apposta». E per terminare la visita ai luoghi malapartiani, Umberto Cecchi a proposito della costruzione del mausoleo sullo Spazzavento e di quanto ne parlarono i pratesi, conclude citando Ernest Hemingway: “Il gioco deve essere lungo per lo scrittore”.
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