SANTA CROCE SULL'ARNO. Prima di tutto gli auguri per i suoi 80 anni. Dei quali quasi 70 passati in conceria. Aveva 11 anni, infatti, quando il padre rilevò un’azienda a Santa Croce e si mise in proprio. E siccome Emilio non aveva una gran voglia di stare seduto sul banco di scuola, decise di dare una mano. Oggi ne parla scherzando: «Ero, e sono rimasto, duro come il muro. Però ho due figli laureati. Emiliano in economia, Irene in ingegneria».
E lui, Emilio Caponi, non molla. A ottant’anni è sempre lì, in una conceria che a Santa Croce rappresenta è un gran marchio da tutti conosciuti: si chiama Lo Stivale. «Se viene di mattina – dice – non mi trova in azienda, perché vado a fare i miei giri. Visto che non mi fanno comandare niente – però ride – mi prendo un po’ di libertà. Ma al pomeriggio sono qui. Eccome sono qui».
Ne è così tanto convinto, Caponi, che anche sul sito internet della sua azienda, alla prima pagina si trova scritto così. Ed è senza ombra di dubbio un bel biglietto da visita di tanto impegno e lavoro.
E continua a spiegare con estrema chiarezza e con convinzione: «Per la concia al vegetale è utilizzata prevalentemente la pelle dei bovini destinati all’industria alimentare. Nessun animale viene abbattuto direttamente per la concia delle sue pelli che, anzi, se non utilizzate nel processo conciario andrebbero a creare gravi problemi di smaltimento. Essendo conciato con tannini naturali, una volta esaurito il suo ciclo di vita, un manufatto in pelle al vegetale può essere smaltito con facilità, proprio grazie alle sue caratteristiche chimico-biologiche. Gli ingenti investimenti delle concerie negli impianti di depurazione e di smaltimento rifiuti assicurano il pieno rispetto dell’ambiente».
Così l’impegno di Emilio Caponi, dei suoi collaboratori, della dozzina di dipendenti, trova rilevanti sbocchi commerciali in tutto il mondo. Con soddisfazione rileva: «Andiamo in Francia e in Germania – dice – e poi anche in Cina e in Giappone. Abbiamo un fatturato che si aggira sui 10 milioni di euro all’anno. Quando va male arriviamo a 6 milioni».
In settant’anni di attività, qual è stata la più bella soddisfazione avuta? «Sono sincero, però esco dalle mura della conceria. Una famiglia unita. Sono un tipo tranquillo. Ho sempre lavorato con passione e insegnato a chi mi sta accanto come fare. Ne posso andare fiero».