PISTOIA. I problemi, per lei che in quel posto ci lavorava da tempo, erano iniziati quando i colleghi avevano saputo del suo orientamento sessuale. E avevano iniziato a tormentarla. Sempre più pesantemente col trascorrere dei mesi. Dopo le parole, erano arrivati i fatti: molestie continue e, poi, veri e propri agguati in cui, sorprendendola alle spalle, la denudavano tirandole giù i pantaloni, per farle capire che andare con un uomo le sarebbe piaciuto molto di più. Nessun rapporto consumato, ma violenze sessuali in piena regola. Anche secondo la legge. E per tale reato i due colleghi di lavoro della ragazza adesso sono finiti in carcere. Dietro le sbarre dovranno scontare la condanna a 4 anni di reclusione, divenuta definitiva dopo che la Cassazione ha respinto il loro ricorso verso la sentenza d’appello. Alcune mattine fa sono stati prelevati dai carabinieri e portati nella sezione “protetti” della casa circondariale di La Spezia.
Per tutelare la vittima di questa grottesca vicenda, non possiamo pubblicare le generalità dei due condannati, un italiano oggi 40enne e un albanese di 29 anni. Né indichiamo il comune del Pistoiese in cui è avvenuta.
Sembra tutto finito, ma non è così. Episodi simili si ripetono altre cinque o sei volte nelle due settimane successive. Tant’è che la moglie del titolare, mortificata, regala a Maria una cintura, cosicché i pantaloni non possano più esserle sfilati così facilmente. Inutile. È lo stesso figlio a tornare alla carica alcuni giorni dopo: la denuda di nuovo, la tocca, lei grida e a salvare Maria è sempre la moglie del titolare.
Così come il 3 luglio successivo. Maria è chinata in avanti per eseguire una lavorazione quando l’altro collega, il giovane albanese, si apre i pantaloni e le si sfrega contro. Lei urla, scappa, lui la insegue urlandole frasi oscene. Mentre nessuno degli altri dipendenti interviene per difenderla: come nelle altre occasioni, fanno finta di non sentire.
Insomma, una situazione sempre più insostenibile, tanto che Maria (che di tutto questo non fa parola con alcuno, nemmeno a casa) inizia a soffrire di attacchi di panico: disturbo post traumatico da stress cronico diagnosticherà in seguito il perito del tribunale. A settembre la ragazza va in malattia per una settimana, poi è il titolare dell’attività, a conoscenza della grave situazione, che le regala una settimana di ferie. Non basta. La sera prima del ritorno al lavoro, Maria si sente male e viene portata al pronto soccorso. Solo a quel punto confida le violenze subite ai genitori: la madre adesso capisce il motivo di quelle paia mutande strappate, trovate tra la biancheria. Il padre va dai carabinieri, che convocano i due colleghi della ragazza, e il titolare dell’azienda, che promette che non farà succedere più niente del genere. Quel pomeriggio però il giovane albanese, insieme a tre amici, affianca l’auto su cui si trova Maria: cerca di intimidirla. Il giorno dopo la ragazza e il padre tornano perciò dai carabinieri e formalizzano la denuncia: il reato è violenza sessuale.