EMPOLI. Sceglievano i migranti africani perché li consideravano più ricattabili, poiché privi di risorse, e meno inclini a denunciare gli sfruttamenti ai quali erano sottoposti. Avveniva così la selezione degli operai nelle ditte di Empoli di Wang Guangfa e Zhang Yumhei, i due coniugi imprenditori cinesi arrestati nei giorni scorsi dalla finanza. Più erano disperati, più avevano bisogno di soldi meglio era, perché si potevano pagare meno e far lavorare di più.
Marito e moglie sono finiti agli arresti in carcere con le accuse di bancarotta fraudolenta, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e caporalato. Nei loro tomaifici si potevano cucire scarpe per 10 ore al giorno anche per un euro l'ora.
Il gip Agnese Di Girolamo, accogliendo la richiesta del pm Christine Von Borries, aveva chiesto l'arresto in carcere anche per il figlio della coppia, ventisettenne, scampato alla cattura poiché in Cina.
A certificare la quotidianità dello sfruttamento sono le testimonianze rese alle fiamme gialle dagli stessi operai. "Nel contratto di lavoro c'è scritto che lavoro per due ore al giorno, dalle 9 alle 11 - ha raccontato uno degli operai ai finanzieri -, in realtà lavoro dalle 9 alle 19 dal lunedì al sabato". Compenso netto 384 euro al mese accreditati su una carta PostePay, che significa una paga oraria di 1,28 euro. "All'inizio percepivo 650 euro mensili, ora 800 - racconta un altro - lavoro tutti i giorni domenica compresa dalle 8 alle 20, con una pausa di 15 minuti per poter mangiare". "Lavoro da lunedì al sabato con una pausa per mangiare, se c'è esigenza anche di domenica", racconta un altro.Per alcuni il giorno di riposo era un miraggio diventata realtà una volta al mese: "Lavoro dalle 9 alle 19 tutti i giorni dal lunedì alla domenica fatta eccezione per il primo giorno del mese - dice un altro ancora - di solito mi occupo di fare la punta alle tomaie e uso la macchina che fa tale operazione".
Gli imprenditori erano così soddisfatti della loro manodopera da consigliarla anche agli altri colleghi cinesi: "Ci sono tanti uomini di colore che stanno nella stessa casa - racconta il figlio della coppia parando con un altro imprenditore -, è meglio e più sicuro perché sono tutti buoni, nelle loro case in genere ce ne sono tanti, non c'è bisogno di dargli l'alloggio".
"Se tu chiami qualunque persona da fuori ci sono anche quelli cattivi - continua -, se poi non ci sono le assunzioni loro ti possono fare denuncia".
Gli africani invece sono considerati più gestibili: "Quelli che ho io - dice ancora l'imprenditore ventisettenne - sono tutti rifugiati".
Grazie un brevettato sistema 'apri e chiudi', che prevedeva la cessazione dell'attività delle società non appena arrivavano tasse da pagare, i due coniugi cinesi e il figlio hanno maturato forti debiti tributari con l'Erario.
L'inchiesta coordinata dal pm Christine Von Borries ha portato anche al sequestro nei riguardi della famiglia di conti correnti per un valore complessivo di 1,7 milioni di euro, equivalente delle tasse non pagate.