pisa. Dopo una lunga riabilitazione ha perso ogni speranza di rimettersi in sella al motorino per consegnare cibo a domicilio. . Un infortunio sul lavoro e un mese di stop hanno azzerato le statistiche con cui l’azienda offre lavoro. Un punteggio faticosamente accumulato declassato a seguito di una caduta sul selciato, dove sono rimaste le pizze e gli hamburger che stava consegnando e i “punti” con cui la società valuta la “fedeltà” e l’impegno dei propri dipendenti. Più il punteggio è alto e più aumentano le occasioni di lavoro. Un giorno di malattia (non retribuito), un infortunio (non riconosciuto) o un’assenza dalla strada equivale ad un taglio. E più il punteggio cala e più le possibilità di lavorano diminuiscono.
Per evitare una retrocessione c’è chi ogni settimana affronta un viaggio di centinaia di chilometri per consegnare cibo a domicilio, ma anche chi emigra nelle città limitrofe per cercare di “rifarsi” il ranking. I riders pisani hanno deciso di ribellarsi ad un sistema fatto di contratti ad ore, lavoro a “prenotazione” e un salario di poche decine di euro a sera. Un’evoluzione, in negativo, del precariato che prevede un fisso di 1-2 euro a consegna e una parte variabile a seconda della distanza percorsa.
Senza un sindacato di riferimento, né un’organizzazione di categoria decine di quei ragazzi che ogni sera attraversano la città in bici o in moto per portare nelle case dei pisani pizze, hamburger e sushi si sono autorganizzati affrontando uno dei giganti che regola il mercato delle consegne di cibo a domicilio. Diritti, tutele e un monte ore lavorativo garantito le rivendicazioni confluite in una lettera inviata al general manager di Deliveroo Italy, una delle due multinazionali (l’altra è Just Eat) che, insieme a tante piccole aziende e ai servizi privati offerti da locali e pizzerie, si dividono la fetta di mercato sul territorio pisano “impiegando” circa 60 degli oltre 200 fattorini che ogni sera si mettono in moto sfidano il traffico e le intemperie per soddisfare le esigenze orarie dei clienti. Ad un mese di distanza nessuna risposta. Un percorso in salita che potrebbe sfociare in un inedito sciopero per una categoria di lavoratori, di fatto, invisibile che ieri si è fatta spazio tra le migliaia di turisti che affollavano Piazza dei Miracoli. Un piccolo muro innalzato con i contenitori per trasportare il cibo e la scritta “Perché non mi rispondi?”: un messaggio diretto all’azienda con la quale non è possibile nessuna interlocuzione. Una chat, l’unico strumento di comunicazione. Risposte “preconfezionate” che quasi sempre non soddisfano le richieste. «Se comunichiamo un incidente o una caduta, la prima preoccupazione è la distanza dal punto di consegna», rivelano i riders.
«È in grado di completare la consegna?», la risposta automatizzata. Monte ore minimo garantito, malattia e assicurazione, le richieste principali partite da alcune decine di “fattorini del cibo” che vestono la casacca di Deliveroo. «Chiediamo un monte ore minimo garantito per ogni rider assunto, per non essere schiacciati dall’assegnazione delle ore lavorative secondo statistiche». Già, perché il sistema prevede una concorrenza spietata tra colleghi. Chi ha il punteggio più alto, ha la possibilità di “prenotare” le ore lavorative offerte dalla società durante la settimana. Un ranking che aumenta lavorando soprattutto nei weekend. «Ho ottenuto uno stage di pochi mesi a Torino - racconta una ragazza -, ma per non perdere il punteggio accumulato ogni fine settimana torno a Pisa per consegnare panini e pizze e conservare la buona posizione in classifica». Per molti un’occasione per arrotondare, per tanti unica fonte di sostentamento.
Lo stesso era per Maurizio Cammillini, il rider pisano morto a 29 anni mentre consegnava panini e fritture.
Una corsa contro il tempo a bordo di un motorino che si è interrotta in via Pietrasantina diventata il simbolo di una categoria di lavoratori schiavi di un algoritmo che calcola affidabilità, ore da lavorare e salario. Nel suo ricordo, la sorella Stefania Pellegrini chiede tutele e controlli, rivendicando giustizia e verità per una morte, quella del fratello, che a distanza di otto mesi è ancora avvolta nel mistero. «Ci hanno lasciati soli - dice -. Dai proprietari del locale per il quale lavorava nemmeno una telefonata. Chiediamo solo che si faccia luce su quell’incidente. Vogliamo giustizia - prosegue Pellegrini -, ma anche che non si ripetano tragedie simili. Per questo è necessario prevedere tutele, assicurazioni e controlli per un comparto lavorativo che, ad oggi, è completamente abbandonato». —
Danilo Renzullo