CARRARA. Hanno scelto il silenzio di fronte al gip Dario Berrino. Gli investigatori della finanza li hanno ascoltati per un anno mentre parlavano di blocchi spediti in Usa e Brasile, di fatture al ribasso, di un marmo talmente pregiato da chiamarlo “king”, ma di questo ieri non hanno detto nulla Alberto Franchi e Carlo Francesco Varni, suo dipendente, durante l’interrogatorio di garanzia. Hanno scelto di non rispondere e l’avvocato di Franchi, Alessio Strenta, fa sapere che per adesso non saranno rilasciate dichiarazioni di alcun tipo alla stampa. E oltre ai due, anche l’altro big del marmo, Andrea Rossi, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere pur facendo depositare all’avvocato Adriano Martini una memoria difensiva in cui respinge le accuse.
Nero su bianco. Evasione nel marmo, con la contestazione di reati tributari per i fratelli Alberto Franchi e Bernarda Franchi, rispettivamente presidente del cda e amministratrice dell’azienda di famiglia. La guardia di finanza contesta la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Andrea Rossi invece, insieme ad Alberto Franchi, è accusato di turbata libertà degli incanti per l’acquisizione di una cava in una procedura fallimentare.
Le indagini si aprono nel 2017, coordinate dall’attuale procuratore facente funzioni Marco Mansi e dalla sostituto procuratore Roberta Moramarco. I finanzieri piazzano microfoni e microspie verso la Umberto Franchi Marmi srl. I militari sono sulle tracce della vendita di prodotti lapidei, convinti che ci sia un problema di sottofatturazione dei carichi commerciali.
Gli investigatori ipotizzano che partissero spedizioni verso mercati asiatici e del continente americano, in particolare Usa e Brasile: «la conferma della fatturazione non veritiera - scrivono i finanzieri ricostruendo l’operazione - veniva ricavata attraverso il confronto con le indicazioni riportate nella documentazione doganale predisposta per l’esportazione».
Quello che i finanzieri scoprono è che gli accordi tra le cifre pattuite con i compratori e quelle riportate in fattura ci sono delle notevoli differenze. «I prezzi erano ribassati di una percentuale mediamente del 40-50%», spiegano i finanzieri.
La somma “pulita” veniva corrisposta attraverso tracciabilissimi movimenti bancari. Ma quel che avanzava, che poteva essere anche la metà dell’importo totale secondo i finanzieri, veniva corrisposto in nero e in contanti. Con un particolare sistema d’intermediari. «Persone, anche di origine straniera, ormai radicate nel territorio. Più volte, come emerso dalle conversazioni captate, le banconote sono state consegnate utilizzando un indumento appositamente predisposto, presumibilmente munito di doppifondi». Insomma, per la procura, ci sono uomini che muovono cifre in nero nascondendoli in tasche segrete per poi consegnarli ai big del marmo.
Non solo intercettazioni, ma anche perquisizioni locali e domiciliari a casa e nelle aziende, analisi dei computer e persino la perquisizione di barche da parte della sezione operativa navale della finanza,
Nel periodo oggetto d’indagine sono 12 le operazioni ritenute fraudolente scoperte dalla guardia di finanza. Secondo la finanza i Franchi avrebbero sottrato ricavi per un milione e 790mila euro e una corrispondente evasione Ires per 429mila euro.
Per la procura Varni ha agito come persona di stretta fiducia di Alberto Franchi, «risultando a piena conoscenza degli accordi sugli importi reali delle compravendite e quelli da riportare nelle fatture».
La vicenda della turbativa d’asta, che vede indagati Rossi e Franchi, è emersa a margine di una procedura fallimentare di una società di estrazione di marmo. L’accusa è di avere alterato il regolare svolgimento del fallimento, con l’obiettivo di far andare deserta l’asta.
Per la procura i due imprenditori avrebbero lavorato per allontanare potenziali compratori, rendendo la cava meno appetibile. Questo, ed è sempre la ricostruzione di chi indaga, ricoprendo di detriti alcuni blocchi di marmo già estratti per fare apparire la cava meno prolifica di quanto non fosse. «Per coprire un blocco di tre metri per tre - specifica l’avvocato Martini - occorrono circa 1200 metri quadri di detriti. Mi pare un’operazione alquanto complicata e dispendiosa. Siamo sicuri di provare l’estraneità ai fatti del mio assistito». —