CARRARA. Una spada di Damocle incombe sulla nuova legge regionale sulle cave, la Legge regionale 25 marzo 2015, n. 35, quella che fra varie novità (una su tutte, l'obbligo di mettere a gara europea le concessioni per l'escavazione) introduceva la "pubblicizzazione" di tutte le cave carraresi, abrogando i cosiddetti "beni estimati", cioè le cave di fatto di proprietà privata in forza di un editto del 1751, difeso dagli industriali e contestato dalla Regione (e da vari pareri autorevoli che stanno alla base della legge regionale). Le cave private sono circa un terzo dei bacini
Il governo presieduto da Matteo Renzi ha infatti deciso di impugnare la nuova legge regionale sulle cave proprio per il punto, contemplato all’articolo 32, comma 2, in quanto tale articolo, testuale, "contrasta con le disposizioni costituzionali che regolano la materia “ordinamento civile”."
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In dettaglio, il comma 2 dell'articolo 32 della legge regionale sulle cave recita: "Considerata la condizione di beni appartenenti al patrimonio indisponibile comunale degli agri marmiferi di cui alle concessioni livellarie già rilasciate dai Comuni di Massa e Carrara e dalle soppresse "vicinanze" di Carrara, già disciplinate ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge regionale 5 dicembre 1995, n. 104 (Disciplina degli agri marmiferi dei Comuni di Massa e Carrara), nonché dei beni estimati, di cui all'editto della Duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina del 1 febbraio 1751, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, i Comuni di Massa e Carrara provvedono alla ricognizione dei tali beni, danno comunicazione dell'accertamento ai titolari delle concessioni e delle autorizzazioni alla coltivazione dei beni medesimi e provvedono ai conseguenti adempimenti ai sensi del presente capo".
A seguire dell'articolo 32, vi è il 33, dedicato alle concessioni: "1. L'esercizio dell'attività estrattiva dei beni di cui all'articolo 32 e dei beni che comunque appartengono al patrimonio indisponibile comunale, è sottoposto a concessione amministrativa temporanea ed onerosa da parte del comune.2. Al fine di garantire lo sfruttamento sostenibile e razionale delle risorse, il comune individua i livelli territoriali ottimali, costituiti da uno o più siti estrattivi, da affidare in concessione ai sensi del comma 1. 3. La concessione costituisce il titolo per il rilascio dell'autorizzazione ed è rilasciata, previo esperimento di procedura di gara ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi comunitari di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza tra gli operatori economici e pubblicità, a tutela della concorrenza e della libertà di stabilimento.4. La concessione ha una durata non superiore a venticinque anni e non può essere prorogata, né rinnovata neppure tacitamente. Alla scadenza della stessa decade anche l'autorizzazione.5. La durata della concessione può essere incrementata di due anni per le imprese registrate ai sensi del reg. (CE) 1221/2009.6. La concessione ha carattere personale e costituiscono causa di decadenza la cessione, la sub concessione e il trasferimento, salvo il caso di trasferimento d'azienda o di un suo ramo ai sensi dell'articolo 22".
Un lungo preambolo, necessariamente tecnico, ma per far capire che, almeno per quanto riguarda le cave di Carrara (il bacino estrattivo più importante al mondo), se dovesse essere dichiarato incostituzionale il comma sui beni estimati, significherebbe di fatto rendere praticamente vana anche la normativa sulle concessioni. Questo perché sulle circa 80 cave attive a Carrara, ci sono sì 29 cave completamente agro marmifero comunale, e quindi assoggettabile comunque alla normativa regionale sulle concessioni, ma nessuna di queste è fra le più pregiate; otto cave, fra cui alcune in cui si escava il marmo più pregiato, sono completamente beni estimati, cioè ad oggi di fatto proprietà private, che chiaramente sarebbero soggette a limitazioni ambientali e autorizzazioni, come oggi, ma che che certamente non potrebbero andare all'asta. Così le altre 44 cave in parte pubbliche e in parte private: grande confusione e conflittualità fra parte pubblica e parte privata, con la parte estimata che si interseca con quella pubblica. Al di là della tassazione (ad oggi i beni estimati pagano solo il contributo ambientale del 5% e sono esenti dal canone concessorio dell'8%), che comunque comporta un minore introito ad oggi di circa 4 milioni di euro, la partita aperta dall'impugnazione potrebbe avere risvolti fondamentali sul futuro delle cave carraresi e sulla possibilità di rilasciare concessioni univoche. Per altro, una sentenza della Corte Costituzionale aveva già di fatto "abrogato" le leggi Estensi, quelle per le quali tutti insieme i concessionari delle cave pagavano 16 milioni di lire di canone.
Una storia iniziata nel 1751. La questione dei “beni estimati” trae origine dall’editto emanato il 1° febbraio 1751 dalla nobildonna Maria Teresa Cybo Malaspina, duchessa di Massa e Principessa di Carrara, con cui avrebbe concesso - secondo gli industriali del marmo e secondo quanto a tutt'oggi considerato valido - pieno diritto della proprietà delle cave ai loro coltivatori. Il documento, che si trova nel volume n. 62 dei bandi di Carrara, è lungo quattro pagine. Il punto cruciale, su cui si fondano tutti i dubbi sulla legittimità di considerare i beni estimati alla stregua di proprietà private, come avveniva prima della nuova legge regionale, è essenzialmente uno: poteva Maria Teresa legiferare “espropriando” le vicinanze, cioè il Comune? E quindi, il privilegio assegnato ai proprietari delle cave “estimate” è un titolo di proprietà capace di resistere per quasi tre secoli, oppure si tratta invece di un gigantesco equivoco.
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Fin dal 1956 l'avvocato Cesare Piccioli, massimo esperto in diritto minerario, scomparso di recente, aveva sempre sostenuto che l’editto non parla di passaggio di proprietà, ma vieta alla vicinanza di proporre azioni di rivendica. Secondo Piccioli, inoltre, un principe, feudatario dell’impero, non poteva spossessare una collettività dei suoi diritti sugli agri comunitari, perché essi erano riconosciuti dal diritto imperiale, in contrapposizione a quello del feudo. Già, ma allora perché al monte la proprietà privata è sopravvissuta fino a oggi, fra l'altro allargandosi a dismisura e senza certezza che gli attuali “beni estimati” corrispondano a quelli del 1731? Risalire con precisione ai “beni estimati” primigeni, cioè a quelli del 1731, è però difficilissimo Oggi, quando si parla di “beni estimati”, si fa riferimento a mappali o cave intere che si sono dilatati fino a interessare circa il 35% degli agri carraresi.
L'amministrazione comunale stava preparando da tempo il nuovo regolamento degli agri marmiferi comunali che doveva recepire la nuova legge regionale (che introduce anche il concetto di valore medio dell'escavato, mentre finora la legge regionale parlava di valore di vendita al contrario del regolamento comunale) ma ovviamente ora è tutto sospeso in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale.