LIVORNO. Tramagli, reti derivanti utilizzate in alto mare. E quelle a circuizione che circondano i banchi di pesci come in un grande catino che poi viene chiuso e tirato. Pezzi grandi o spezzoni piccoli con un unico denominatore comune, la plastica indissolubile che inquina e ammazza il mondo bentonico, quello che sta attaccato allo scoglio. Vale a dire i mitili, i crostacei, i preziosi coralli e migliaia di microrganismi. Un tappeto di plastica che imprigiona anche le tartarughe e i delfini e sta aumentando vistosamente. Si calcola che ogni anno cresca di 15 chilometri in Italia mettendo a rischio flora, fauna e costituendo anche un pericolo per i sub.
Da qui il via all’operazione “Reti fantasma” grazie alla guardia costiera che si muoverà anche su segnalazioni di associazioni ambientaliste e singoli subacquei. La “centrale” di questa attività è a Genova con il comandante del nucleo operatori subacquei della guardia costiera, Angelo Doria, che opera tra Toscana e Liguria e ha già effettuato tre recuperi a Livorno, in particolare nella zona di Calafuria.
«Abbiamo molte segnalazioni anche in Toscana - spiega il comandante - di reti di pescatori che non sono state abbandonate ma vengono perdute per mareggiate o per altri eventi». Un tempo il problema non sussisteva perché la rete non era di plastica ma di canapa o di cocco e quindi era biodegradibile. E poi, in genere, non veniva tagliata e lasciata come adesso. Era un bene prezioso, i pescatori cercavano di recuperarla il più possibile e poi la ricucivano, con pazienza e tanto tempo, in porto. Riti che erano lasciati ai più anziani ma che ora non si vedono più perché la rete è sempre di plastica, se si perde non è un problema perché costa, relativamente, poco.
Ma quando rimane nel mare va ad uccidere per soffocamento tutto l’ambiente marino che rimane sotto. Con il tempo gli spezzoni si appesantiscono per la vegetazione e le pietre calcaree che si attaccano sopra. E tanti pesci ci rimangono incastrati trasformandosi in esche per altri pesci. Una trappola mortale che, come spiega Doria, «diventa un pericolo anche per i subacquei. Di conseguenza abbiamo il dovere morale di rimuovere queste reti».
Considerando anche la richiesta di consigli da parte di appassionati sub, la guardia costiera ha messo a punto una tecnica di intervento per rimuovere questi tappeti killer collaborando anche con chi per primo segnala queste “reti fantasma”.
Da un percorso spontaneo, la modalità di recupero si è strutturata grazie a una serie di incontri fatti per mettere a punto un percorso da seguire dal momento in cui parte la segnalazione fino a quando le reti devono essere smaltite. Ora l’operazione è partita a livello nazionale. «Dopo un primo sopralluogo - spiega il comandante - liberiamo i fondali cercando di non danneggiare i sedimenti. Poi riuniamo i pezzi di rete con l’aiuto di fascette da elettricisti. E per tirarle su abbiamo anche l’aiuto di pescatori che utilizzano i verricelli». La guardia costiera si muove anche in sintonia con i Comuni «perché le reti sono rifiuti speciali - va avanti il comandante Doria - e non possono essere messe in un cassonetto».
Tra i vari interventi che la guardia costiera ha iniziato, ne sono stati fatti anche a Livorno, nella zona di Calafuria. Operazioni che hanno avuto una caratteristica particolare perché qui c’era da mettere in salvo un bene prezioso, il corallo. «In questa zona, per le correnti e per la conformazione dei fondali, abbiamo il corallo già a 24 metri a differenza di altri punti della costa italiana dove in genere si trova a 40 metri - spiega Doria - ma ci sono anche molti appassionati di pesca e ci sono numerose reti incagliate. Quando si va a rimuoverle bisogna stare attenti perché altrimenti il corallo si spezza, anzi si uccide perché è una specie animale».
Tra le operazioni svolte a Livorno «una è stata particolarmente impegnativa - va avanti Doria - abbiamo recuperato una rete a tramaglio fatta di lenze, per prendere pesce piccolo, e non è stato facile rimuoverla dai banchi di corallo rosso. E dove non è stato possibile togliere le reti, che in questo caso hanno maglie piccole, le abbiamo tagliate con le forbici in modo da non ostacolare la crescita dei rametti. Era una zona di sei metri quadrati». E qui sono state portate via alcune decine di metri.
Ma la squadra di Doria ne recupera anche alcune centinaia di metri per volta. Il problema è il tempo: se le immersioni vengono fatte a 25 metri, i sub non si possono trattenere più di 35 minuti circa, se siamo a 35 metri si scende a 20. Un lavoro titanico di fronte a chilometri e chilometri di plastica da recuperare. —