L’orgoglio ritrovato di una città si specchia nella sua storia raffigurata come non te l’aspetti nello spettacolare museo inaugurato nei Bottini dell’Olio. Gli specialisti diranno se è corretto o meno retrodatare le origini del sito labronico all’epoca romana. Ma l’impatto, appena varchi l’ingresso, è di grande effetto con una decina di anfore appoggiate su una spiaggia di sabbia finissima. E’ il mare della scoperta pronto a dischiudersi davanti agli occhi del livornese curioso.
Irripetibile città Livorno, così cosmopolita come la vollero i Medici e così fiera della sua sregolatezza. Il pregio dunque di questo museo non è solo nella ricerca, nella selezione e nell’allestimento dei reperti esposti. Che già di per sé è notevole. Il percorso, su più livelli, ti conduce dalla mistica dell’arte sacra delle confessioni religiose che fecero unica la città, fino alla produzione artistica contemporanea che sempre fa discutere e costringe a interrogarsi sul presente. Per poi strapparti il sorriso beffardo quando arrivi alle tre teste false di Modigliani, entrate a pieno diritto nel museo come distillato dello spirito labronico.
Ecco. Nei Bottini dell’Olio si è realizzata un’operazione glocal. Globale e locale al tempo stesso. Ne va dato atto al sindaco e alla giunta. Che sia locale è evidente nel senso di identità e appartenenza trasmesso dal museo. Che diventi globale è un auspicio perché le opere in mostra non deludono il visitatore, italiano o straniero che sia, disposto a una sosta stimolante.
Da livornesi dobbiamo curarcelo il nostro museo. Da imprenditori di noi stessi dobbiamo fare in modo di trasformarlo sempre più in un luogo di cultura cosmopolita, attrattore di turismo qualificato e culla di una memoria in grado di donare futuro. Le premesse ci sono. Occorre ora sguardo lungo.