FIRENZE. La scossa del cardinale di Firenze Giuseppe Betori ad una Toscana in cerca di speranza. A credenti e non credenti, la massima autorità religiosa della nostra regione ricorda che il Natale riguarda sì le dimensioni interiori e spirituali, «ma anche quelle più terrene, comprese le condizioni sociali attraversate oggi da tante problematiche». Dimensione spirituale e impegno sociale in un momento così difficile per la nostra società: è questa la cifra di una lunga intervista che il cardinale Betori, presidente della Cet, la conferenza episcopale toscana e figura di primo piano della Chiesa italiana (è stato uno dei papabili all’ultimo conclave), ha concesso al Tirreno.
Dal valore del presepe e dal ruolo, sull’esempio di Maria, della donna nella società di oggi all’importanza del lavoro in una Toscana dove la disoccupazione è una delle piaghe economiche più dolorose. Dal plauso al gesto del presidente della Regione Enrico Rossi che si è fatto fotografare con una famiglia rom al dovere dell’accoglienza nei confronti degli immigrati. Dai valori richiesti alla politica, alla vigilia delle prossime elezioni regionali - bene comune, famiglia e rilancio del lavoro -, all’auspicio di una Chiesa toscana che esca dalle sagrestie per andare «in mezzo alla gente». Una Chiesa missionaria, come piace a papa Francesco.
Eminenza, al di là dei riti e delle tradizioni, che cosa il Natale può dire all'uomo di oggi smarrito e preoccupato per la crisi economica e per l'assenza di futuro soprattutto per le nuove generazioni?
«Il senso ultimo del Natale è la rivelazione dell'amore di Dio verso l’umanità e quindi la manifestazione della fiducia che Egli ha verso l’uomo, nonostante la sua condizione storica manifesti tante incongruenze e negatività. Se Dio ha fiducia in noi perché noi non possiamo avere fiducia in Lui e nel futuro di una umanità che vede la sua presenza? Credo che questo messaggio di speranza sia il senso più profondo del Natale e avvolga tutte le dimensioni della vita dell’uomo quelle più interiori e spirituali, ma anche quelle più terrene, comprese le condizioni sociali attraversate oggi da tante problematiche. Di speranza abbiamo oggi particolarmente bisogno e il Natale ce ne fa gratuitamente dono. Penso che questo messaggio possa trovare particolare accoglienza proprio nei giovani, che di per sé sono più proiettati verso il futuro e possono coglierne meglio le opportunità. L’importante è che esso giunga a loro, non solo nelle parole e nei riti del Natale, ma anche nella testimonianza che i credenti devono offrire di una vita aperta al futuro, a Dio e al suo amore».Uno dei simboli del Natale è il presepe. Si tende, anche da parte delle parrocchie, a farne di diversi tipi, tra magia e significati sociali. Quale è il suo rapporto con il presepe? E, quando era ragazzo, da che cosa era soprattutto attratto?
«Ricordo che nella mia infanzia il presepe era uno dei momenti più belli della vita della famiglia, mio padre lo curava con grande impegno, fabbricava egli stesso le scene e ogni anno c'era qualche personaggio, qualche statuina nuova a renderlo diverso dall'anno precedente. Ciò che mi colpisce nel presepe è proprio questa dimensione scenica, la rappresentazione di una pluralità di situazioni umane e di personaggi che esemplificano la vita in tutta la sua varietà. Non testimonia semplicemente la nascita di un bambino, ma il collocarsi di questo Bambino in un tessuto di relazioni e di esistenze umane di cui egli è il centro. Il presepe è un modo assai efficace di dire che la fede pervade la vita, la vita di tutti, la storia, le vicende di un villaggio, di un paese, di una regione che si illuminano di quella presenza. In altre parole è una manifestazione particolarmente incisiva della dimensione storica del Cristianesimo, del fatto che Cristo ha a che fare con la storia di ogni uomo e di tutti gli uomini. Per questo è bello che questa tradizione sia così viva ancora fra le nostre famiglie, nelle comunità, nei luoghi in cui le nuove generazioni si formano, sulle pubbliche piazze e nelle strade delle nostre città e paesi.
Gesù bambino impersona il Grande Rifiuto. I rifiutati di oggi sono soprattutto gli immigrati, i migliaia di esseri umani che affogano nel mare Mediterraneo tanto caro a Giorgio La Pira, in quanto culla delle tre grandi religioni monoteistiche - ebraica, cristiana e musulmana-.Recentemente il presidente della Regione si è fatto fotografare con una famiglia rom scatenando reazioni fortemente negative. Cosa ne pensa?
«Il significato del gesto del presidente Rossi era senz’altro quello di mostrare una volontà di accoglienza e questo è bello. Come possa aver funzionato dal punto di vista della comunicazione,non sono un esperto per poterlo giudicare. Il valore dell'accoglienza è comunque un tema centrale che tocca e chiama in causa tutti. Il fatto che Papa Francesco abbia voluto uscire per la prima volta da Roma per andare a Lampedusa, luogo di prima accoglienza di tanti disperati che attraversano il Mediterraneo, ci indica l’atteggiamento che dobbiamo avere verso chi si rivolge a noi per raggiungere condizioni dignitose di vita. È chiaro che l’emarginazione, l’ingiustizia sociale e la povertà in cui queste persone si trovano, vadano combattute anzitutto nei loro paesi d’origine, ma quando la disperazione li conduce fino al gesto di mettere in pericolo la propria vita pur di sfuggire a condizioni d'esistenza disumane, abbiamo il dovere di accogliere e di farlo in modo efficace e generoso».
Altra figura della natività è Maria. Che ruolo ritiene che si debba assegnare alle donne nella Chiesa e nella società?
«Il ruolo centrale che ha Maria nella storia della salvezza dimostra che nell’ambito della fede la donna non è e non può essere messa ai margini. La “generatività” sia nella sfera umana che in quella della fede è imprescindibile. Il fatto che la società contemporanea si sia rinchiusa in un egoismo nei confronti della vita dice quanto sia tradita la donna nella sua natura più profonda. La specificità della donna sta proprio nel dare la vita, nell’essere fonte di vita, e non mi riferisco solo alla generazione biologica. È un dare che si prolunga nel farsi carico dell’altro.La donna è in grado per sua natura di far nascere il futuro, non solo dei bambini, di prendersi cura del mondo. L’universo femminile ha la capacità di esprimersi al di là della maternità fisica. Per affermare se stessa la donna non ha bisogno di entrare in concorrenza con l'uomo, rinnegando la sua peculiarità di generare e donare. La Chiesa e la società devono quindi riconoscere la necessità di valorizzare il senso del dono e della generazione di realtà nuove. La strada è quella quindi di un cambiamento delle forme sociali ed ecclesiali che dia spazio alla specificità della donna, così come bene ha illustrato il magistero di Giovanni Paolo II. La società non deve restare la stessa “accettando” l’ingresso delle donne semplicemente a sostituire gli uomini, ma deve modificarsi radicalmente in modo da dare spazio allo specifico femminile, che è proprio quello della generazione, del dono e del prendersi cura».
Giuseppe, il falegname, il simbolo del lavoro. Oggi viviamo in una società di senza lavoro o di lavoratori precari. Come pensa si possa far ripartire l'economia e il lavoro soprattutto qui, in Toscana, nella nostra regione?
«Io credo che il problema non sia quello di creare posti di lavoro, fissi o precari, ma di creare lavoro, perché il lavoro esige che ci siano persone che lo fanno. Oggi siamo in crisi perché non siamo più capaci di costruire lavoro, di creare cioè cose che possano interessare lo scambio fra gli uomini. La grande virtù del mondo toscano è da sempre quella dell'innovazione, della creatività, della produzione originale: tessuti nuovi nel Medioevo, moderne tecnologie oggi. La strada da perseguire non è quella di assicurare posti di lavoro a tutti, ma di sviluppare del lavoro che richieda una sempre maggiore presenza di lavoratori. A tal fine è necessario anche osare, rischiare nel proporre nuove idee e metterle alla prova dell'attenzione e del desiderio degli altri. Il tema è quello della creatività, non abbiamo risorse materiali, abbiamo solo l’intelligenza e l’ingegno da mettere in campo. Ma in questo nuovo mondo la creatività non può più essere circoscritta, come nel passato all'individualità di una bottega che da sola si affermava nel mondo, ma ha bisogno di fare rete che deve trovare sostegno nelle istituzioni».
ei è presidente della Cet, la conferenza episcopale regionale: quali sono i principali problemi che la Chiesa toscana si trova ad affrontare?
«Il tema centrale della Chiesa nel mondo è ovunque l'evangelizzazione: come comunicare oggi il Vangelo e portare Gesù agli uomini del nostro tempo. Su questo argomento si è espresso con forza e chiarezza Papa Francesco, sulla scia dei suoi predecessori almeno da Giovanni XXIII in poi, fornendo indicazioni preziose, ma impegnative. Siamo stati abituati ad una Chiesa che attendeva e accoglieva generosamente chi bussava alla sua porta, e le Chiese toscane sono sempre state molto accoglienti verso tutti, ma dobbiamo indirizzarci verso una Chiesa che va in mezzo alla gente, una Chiesa in uscita con forme di presenza tutte da inventare. Questo è il primo vero nodo di tutta la nostra esperienza pastorale. L’altro punto cruciale è la considerazione del drastico calo del clero che, al di là dei numeri, evidenzia la necessità di una Chiesa in cui tutti si fanno più protagonisti e corresponsabili riconoscendo l’un l'altro i doni e i compiti che il Signore ha affidato, una Chiesa cioè che è più comunione e partecipazione».
Nel 2015 in Toscana si voterà per il rinnovo del parlamento e del governo regionali. Come massima autorità religiosa che cosa si aspetta dai nostri futuri amministratori?
«Non sta a me e alla Chiesa dare indicazioni su programmi e progetti politici. Ci sono però alcune esigenze che possono essere di orientamento. La prima la ricondurrei alla necessità di favorire il convergere di tutti verso una visione positiva dell'umano, nel rispetto della dignità della persona e nella ricerca del bene comune. In secondo luogo abbiamo bisogno di sostenere il superamento delle tendenze di disgregazione sociale favorite dal predominante individualismo culturale, facendo perno sulla prima forma di socialità che è la famiglia fondata sul matrimonio. Infine, come ho già enunciato, c'è da attendersi misure efficaci che promuovano le condizioni per una ripresa del lavoro».
Sempre nel 2015, in autunno, si terrà a Firenze il convegno nazionale della Chiesa italiana, che vedrà la presenza del Papa. La Toscana, come sa, è terra di figure religiose forti e vivaci, da La Pira a don Milani. Sarà per la Chiesa un'occasione per valorizzare queste esperienze?
«Il Convegno, così come si sta prefigurando, non intende essere un dialogo su dottrine in astratto, e già nella fase preparatoria ha avuto cura di mettere in luce le esperienze vive delle nostre Chiese in Italia oggi. Di queste esperienze fanno parte ovviamente anche quelle che hanno segnato la Chiesa toscana e fiorentina nei secoli, non da ultimo il secolo scorso. Peraltro già Papa Francesco ha offerto alcuni segnali di attenzione verso le figure più significative di questa storia. Si tratta di riflettere sull'apporto che le vicende del recente passato possono dare ai nostri giorni. Non si vuole fare teoria sull’'umanesimo, ma guardare anche al passato ed aprire strade nuove di umanesimo cristiano».