Due anni fa, in questi giorni, avevamo appena visto gli azzurri prendere a schiaffi la storia. A San Siro, tempio dell’italico pallone, stavamo guardando increduli le facce rubizze del ct Gian Piero Ventura e del presidente federale Carlo Tavecchio inutilmente dispiegate al cospetto della disonorevole mancata qualificazione al Mondiale, la prima dopo 60 anni. Oggi guardiamo a ciò con sollievo, specie per ciò che si vede in campo. Intorno, senza Tavecchio, non poteva andare che meglio ma solo per la vetrina e poco altro.
Ed è già molto. Perché il nuovo ct Roberto Mancini non si è limitato a vincere in anticipo un girone di burro. Questa Nazionale offre gioco di qualità, entusiasmo e, soprattutto, fiducia. Certo, partite con squadre vere non ce ne sono state, se non quelle in Nations League con Portogallo e Polonia. Ma era inimmaginabile arrivare alla sfida in Bosnia, contro quella che poteva essere l’avversaria più insidiosa, dopo averle vinte tutte e a giocare solo per il ranking. Detto questo, adesso uno dei rischi è vivacchiare in attesa di un Europeo con le prime tre sfide da giocare in una Roma da Notti magiche. Il ct lo sa e da tempo ripete che il mirino deve andare oltre la sfida continentale («ma vogliamo vincerla»), verso il Mondiale 2022. Mancini sta facendo bene con quel che ha a disposizione: lamentarsi di un campionato che offre poco servirebbe giusto per qualche titolo di giornale. E se in campo (azzurro) tutto o quasi va bene, all’esterno rispetto a due anni fa nulla è cambiato se non in peggio in fatto di lotta al razzismo, prepotenze ultrà e fughe di risorse verso le tasche di avidi mediatori che drenano il 20 per cento degli introiti di un calcio stremato dai debiti. Se poi aggiungiamo la credibilità minata dalla pessima gestione del Var (in sé strumento santo) da parte di una scadente classe arbitrale e dirigenziale, ecco che torniamo a due anni fa. A prendere a schiaffi la storia e, soprattutto, il futuro del nostro calcio. —
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