EMPOLI. Alle spalle un anno disastroso, ma il 2021 è iniziato forse ancora peggio e, soprattutto, con tante incognite. La certezza è il conto salato, salatissimo, che l’Empolese Valdelsa ha pagato e paga al Covid in termini di lavoro.
La crisi innescato dalla pandemia ha fatto e sta facendo danni che si riassumo con pochi ma drammatici numeri. Come 12mila, perché tante sono le domande di integrazione salariale (cassa e fondo di solidarietà bilaterale per l’artigianato) presentate (anche più volte da una stessa azienda) dalle realtà produttive del circondario. Richieste che hanno portato una diminuzione del reddito stimata tra 20 e 22 milioni di euro. Tutti soldi in meno nelle tasche dei lavoratori.
E il quadro che emerge dalla relazione annuale della Cgil è anche più negativo, come accennato, se si pensa all’inizio del nuovo anno. Nel settore moda, tra calzaturiero e confezioni, già cinque aziende hanno definitivamente cessato l’attività al primo gennaio, un’altra è in procinto di farlo. Un centinaio, in totale, i dipendenti lasciati a casa da un giorno ad un altro. Senza impiego, senza stipendio, con poche prospettive. «A fine di marzo – ricorda Paolo Aglietti, segretario generale Cgil Empolese Valdelsa – scadranno la cassa integrazione Covid e il blocco dei licenziamenti e anche qui, come ovunque, rischiamo una tempesta che può spazzare via l’intero sistema produttivo».
Al grido di allarme, dunque, la Cgil prova a far seguire anche linee guida per ripartire. «Le risorse europee saranno decisive – sintetizza Giuseppe Dentato, di Filctem Cgil – ma serve un tavolo regionale per cogliere l’occasione. L’idea della Multiutility Toscana, ad esempio, può essere interessante ma solo se sarà collettore di investimenti e progetti».
«Come – gli fa eco Sergio Luschi, di Fillea Cgil – la proposta di un ammortizzatore sociale unico, più facile da richiedere e da ricevere. Sotto il profilo umano non è piacevole parlare con lavoratori e lavoratrici che hanno perso sia il lavoro che la speranza. Gli artigiani, per esempio, hanno avuto la Fsba di marzo e aprile a ottobre. E ora diverse aziende ci stanno prospettando ristrutturazioni, a fine marzo, con la perdita di altri posti. La soluzione? Un fronte comune. Sindacati, associazioni datoriali e istituzioni per uscirne».
È un mal comune, questo, che non è mezzo gaudio, ma neanche un po’. Paolo Grasso, di Fp Cgil: «I Comuni devono tornare a investire negli appalti pubblici – spiega – per migliorare i servizi. A preoccuparci sono anche le residenze per anziani dove, dopo le tragedie dovute al Covid, potrebbero esserci esuberi». Non se la passa meglio il settore agroalimentare. «Le aziende vitivinico – rimarca Alessandro Cioni della Flai – hanno sofferto e soffrono. E l’ombra del caporalato prende corpo». Ma le ombre sono ovunque. «Senza turismo non ci sono prospettive per il trasporto – rincara Giampiero Goti della Filt – e il boom del commercio elettronico ha solo aumentato i carichi di lavoro di chi la merce la trasporta». «I settori spettacolo e sport sono azzerati – spiega Samuele Falossi della Slc – anche se per ora i posti di lavoro, tranne purtroppo occasionali e partite Iva, sono salvi. La via d’uscita, però, è lontana». «La grande distribuzione – ricorda Donatella Galgani di Filcams – ha aumentato i fatturati, ma anche i carichi di lavoro. E c’è meno sicurezza, come dimostra il caso Eurospin». —