Una campagna dimessa, dove un tempo molti livornesi di mare avevano pezzi di terra per l’orto. Colline a cui non è mai stata data l’importanza che meritavano, in un’area di condominio tra Rosignano e Livorno, troppo distratti dai loro cuori pulsanti. Ma in questa “terra di mezzo” (più nell’accezione dell’inglese arcaico che in quella di John Ronald Reuel Tolkien) si avverte un’energia particolare e ancora incontaminata. Siamo a Gabbro dove ha trovato casa l’arte, quella dei Macchiaioli che salivano da Castiglioncello per dipingere “en plein air”. E in particolare quella espressa da Silvestro Lega con le sue indimenticabili donne.
Non solo: da Livorno salì anche una famiglia francese per costruirci una villa di raro splendore. Erano i Fenouillet, poi Finocchietti, tra i commercianti più ricchi della Toscana che, a metà del Settecento, decisero di costruire a Gabbro una residenza di campagna, la Villa Mirabella. Purtroppo , però, la costruzione, con frontone di stampo barocco, non ha avuto una buona sorte. Con presagi d’impronte funeste come quando divenne lazzaretto per accogliere i malati di spagnola durante la prima guerra mondiale. E poi colpita, in un torrione, da un fulmine negli anni Novanta. E ora giace, su una collina seminascosta, piena di ferite provocate da mano umana. Dalla imponente scala d’ accesso crollata fino agli interni distrutti dal passaggio di incuria e vandali.
Eppure Lei resiste anche senza finestre, violata cinque, dieci, cento volte. Fuori e dentro. Fuori perché grandi ammassi di rovi hanno sostituito l’equilibrio verde di piante e giardini. E il visitatore curioso, che si è arrampicato sulla collina, si immagina pure, un tempo, lo zampillare di piccole fontane al tramonto, quando si avvertono flebili scampoli di brezza marina.
Ma allo stesso visitatore curioso viene un groppo allo stomaco quando entra al piano nobile della villa non più protetta da porte sigillate o finestre chiuse. Due saloni da ballo o di rappresentanza deturpati e danneggiati, con distacchi dalle pareti ovunque. E sul pavimento un tappeto di intonaco e rifiuti diversi: dai pezzi di legno, alle bottiglie di plastica, ai contenitori in vetro. Con scritte nere e rosse che testimoniano l’incursione di writer. Per finire alle etichette di abiti da discount. Una presenza con ragione ignota in quel luogo dimenticato (da tempo) dall’uomo e da Dio.
Eppure la maestosità di un tempo si sente ancora perché, e sembra impossibile, parte degli affreschi che decoravano le pareti sono ancora visibili. Scene con divinità o figure di guerrieri fino a piccole rifiniture che disegnano drappeggi. Si vedono pure figure sante in una piccola cappella prima di entrare nei saloni. E come il luogo emana ancora fascino perché costruito con cura e sentimento, sprigiona pure forza e vigore perché nonostante la sequela di “attentati” subiti ci sono ancora coperture a volte in piedi. E anche, se pure in parte restaurato, un soffitto a cassettoni completamente di legno svetta in uno dei saloni. Intorno altri tentativi abortiti di restauro con ponteggi in qua e là a tenere le parti vicine al crollo. Che aumentano l’iniziale groppo. Salire al primo piano sembra rischioso.
Allora il visitatore riprende la strada d’uscita e prega laicamente che il progetto di due giovani produttori americani possa avere successo. Per quel luogo e per tutte le persone che hanno messo passione e amore per arrivare a tanta bellezza. —